Dal Terzo Rapporto sul secondo welfare, presentato a novembre 2017, emerge che quest’ultimo continua a crescere: i suoi pilastri sono sempre più importanti per il sistema sociale italiano. Luciano Pallini, direttore del Centro studi della Fondazione Turati, ci guida attraverso i contenuti della pubblicazione, che mostra quanto il secondo welfare sia necessario soprattutto laddove lo Stato non riesce ad arrivare.
Il 21 novembre a Torino è stato presentato il Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia, nel quale sono riunite le ricerche svolte negli ultimi due anni dal Laboratorio Percorsi di secondo welfare del Centro Einaudi e che riguarda una realtà di rilievo per l’Italia con le tante iniziative poste in essere da attori privati, terzo settore e parti sociali per dare risposte ai cittadini in quegli ambiti nei quali risulta scarsamente presente se non assente laddove lo Stato fatica a fornire risposte adeguate ai bisogni dei cittadini.
I dati smentiscono il luogo comune che l’Italia spende meno degli altri paesi per il welfare: le risorse messe in campo dai soggetti pubblici sono imponenti: quasi 450 miliardi di euro destinate a pensioni, sanità, assistenza sociale e politiche del lavoro ovvero il 54,% dell’intera spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito, e fino al 30% del Pil considerando anche le spese per contrastare l’esclusione sociale, per la famiglia e housing e le spese di funzionamento, al di sopra quindi della media dei 28 Paesi UE (28,7%) e più bassa soltanto rispetto a Danimarca, Francia e Finlandia.
Il Rapporto si interroga perché in questi anni il sistema sociale è apparso incapace di rispondere con efficacia ai bisogni dei propri cittadini.
Le spiegazioni stanno in primo luogo in uno squilibrio interno: si spende troppo per pensioni e sanità, sul passato verrebbe da dire, mentre poco o niente è destinato a famiglia, inclusione sociale, lavoro femminile e formazione, cioè al futuro.
A questo squilibrio si aggiungano l’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti nell’assetto tradizionale delle famiglie, i nuovi bisogni legati all’evoluzione del mondo del lavoro, la crescita della povertà e le migrazioni.
Di fronte a queste sfide complesse il welfare pubblico non riesce a dare risposte adeguate ai bisogni crescenti dei cittadini: da questi vuoti nascono le numerose esperienze di secondo welfare, “ovvero interventi pensati, sviluppati e implementati da soggetti privati, sia profit che non profit, che vanno ad inserirsi sussidiariamente laddove lo Stato, con il primo welfare di natura pubblica, non riesce ad arrivare“.
Sono tanti i soggetti che mettono in campo risposte innovative, spesso con forte radicamento territoriale: sono imprese, assicurazioni, banche, fondazioni, cooperative, imprese sociali, gruppi di volontari e altre realtà del Terzo Settore, assieme associazioni datoriali, organizzazioni sindacali e enti bilaterali, che operano con l’obiettivo di integrare il welfare pubblico in difficoltà.
Come sottolineano Maurizio Ferrera e Franca Maino, rispettivamente scientific advisor e direttrice di Percorsi di secondo welfare, non è agevole riassumere in cifre di sintesi questa ricchezza e varietà di esperienze, attività e servizi, anche per la continua evoluzione e sperimentazione di attività innovative: il Rapporto presenta i dati comunque raccolti e organizzati anche attraverso infografiche riassuntive dei numeri più interessanti dei vari fenomeni analizzati, riuscendo così a restituire pezzi sempre più “pesanti” di un puzzle in continua espansione.
Alcune numeri sui beneficiari di prestazioni, servizi e sostegni ci danno un’idea de fenomeno:
- Il settore della bilateralità riguarda con 6 milioni e 900 mila potenziali fruitori;
- i grandi fondi sanitari integrativi bilaterali di livello nazionale coprono 2 milioni e 500 mila lavoratori;
- i fondi, gli enti, le casse e le società di mutuo soccorso aventi fini assistenziali registrati presso il ministero della Salute (ben 305) riguardano 9 milioni e 150 mila persone, di cui quasi 7 milioni di lavoratori e oltre 2 milioni e 200 mila familiari;
- con l’inclusione del welfare aziendale in seno all’ultimo Contratto Collettivo Nazionale dei metalmeccanici, oltre 200 mila imprese del settore possono attivare programmi di questo genere raggiungendo un bacino potenziale superiore a 1 milione e 500 mila lavoratori.
Questo senza dimenticare le istituzioni filantropiche che rinnovano la loro missione, le fondazioni d’impresa e di famiglia, di comunità e di partecipazione e soprattutto per il peso nei territori di riferimento delle Fondazioni bancarie.
Di queste diverse esperienze dà conto il rapporto con i tanti dati che sollecitano approfondimenti e riflessioni: un cenno merita di essere dedicato a quelli relativi al welfare aziendale, nei quali rientrano gli interventi che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio e alla genitorialità fino alla tutela della salute, dalla previdenza complementare a interventi per la facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ma comprendere anche misure per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale.
Modifiche intervenute nella fiscalità che intendono agevolare questa tipologia di welfare mostrano una crescente propensione a trasformare il premio di produttività in welfare.
ad agosto 2017 | ad agosto 2016 | Variazioni % | |
accordi attivi per premio di produttività | 12.711 | 13.543 | -6,1% |
accordi che NON CONSENTONO di trasformare il premio di produttività in Welfare | 8.802 | 11.253 | -21,8% |
accordi che CONSENTONO di trasformare premio di produttività in Welfare | 3.909 | 2.290 | + 70,7% |