Un editoriale del Corriere della Sera sottolinea l’importanza del Terzo Settore per garantire l’erogazione dei servizi sociosanitari. I limiti dell’azione dello Stato. Il rilievo del crowdfunding.
Sul Corriere della Sera del 24 dicembre u.s. un fondo dell’ex direttore Ferruccio De Bortoli, dal titolo “Il capitale trascurato del bene”, evidenzia alcuni concetti sui quali la Fondazione Turati insiste da tempo (vedasi sul nostro sito l’articolo di Giancarlo Magni “Sanità, il ruolo del Terzo Settore”). La tesi di De Bortoli si può riassumere in quattro punti:
- Lo Stato, anche in conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione, avrà sempre meno risorse per affrontare, fra le altre cose, la non autosufficienza e le malattie croniche;
- Per rispondere a questi bisogni non ci si può affidare solo alle dinamiche del mercato;
- Il privato sociale e le associazioni di volontariato dovranno affiancare lo Stato per soddisfare queste necessità;
- Il risultato potrà essere raggiunto solo se questi enti no profit avranno una dimensione tale che permetta economie di scala e efficienza.
L’esito auspicato da De Bortoli però potrà essere raggiunto solo se i protagonisti di questo processo, le autorità pubbliche e gli Enti no-profit, sono convinti dell’ineluttabilità della situazione e agiscono di conseguenza.
A livello istituzionale, almeno per ora, non è facile trovare questa consapevolezza. Molte Istituzioni hanno un comportamento altalenante che spesso privilegia le parole rispetto ai fatti. La legge sul Terzo Settore, insieme al relativo Codice, è stata approvata dal Parlamento nel 2017 ma oggi, a distanza di sei anni, diverse parti attendono ancora pratica attuazione. Anche sul piano locale, almeno nella regione Toscana, le cose non vanno meglio. A parole grandi aperture, è stata approvata anche una legge per favorire lo sviluppo del Terzo Settore, nei fatti invece meno di niente. Prevale ancora, negli apparati burocratici, una mentalità centralista per cui deve essere l’ente pubblico a dare risposte a tutti i bisogni, in alternativa meglio, e soprattutto più semplice, affidarsi al mercato. E che a fare questo tipo di politica sia una regione di sinistra come la Toscana la dice lunga sullo stato di confusione che alberga sotto il cielo.
Più convinzione si trova nel mondo no-profit. La nostra Fondazione, ad esempio, sostiene queste tesi da tempo e punta ad adeguare organizzazione e strutture a questa nuova realtà per raggiungere, attraverso una dimensione ottimale, la massima efficienza nell’erogazione dei servizi. Nel contempo si punta a dare vita ad una struttura espressamente dedicata alla raccolta di fondi, donazioni e lasciti. Lo scopo è quello di disporre di risorse aggiuntive per alzare la qualità dell’offerta e per avere la possibilità di effettuare, integrando gli stanziamenti pubblici, servizi ad altissimo costo, come ad esempio il Dopo di Noi.
Alla base di tutto una convinzione che da sempre ci caratterizza: essere, come Ente no- profit, non un’alternativa al servizio che viene erogato dal pubblico ma una sua integrazione. Grazie a una maggiore flessibilità, duttilità ed efficienza e in virtù delle possibilità ed agevolazioni offerte dalla legislazione del settore, enti come il nostro possono raccogliere fondi privati da destinare all’erogazione di servizi particolarmente onerosi e complessi, integrando e completando l’offerta pubblica. Non è, questa, una scelta ma una necessità per garantire l’assistenza anche a quanti non dispongono di risorse proprie.