Con ospite d’eccezione lo scrittore Mauro Corona, giovedì 4 agosto con inizio alle ore 21.00, sarà presentato al Centro Socio sanitario della Fondazione “F. Turati” a Gavinana Il romanzo di Tiziana Morrone “Ero dunque sono”. Interverranno il Presidente della sezione A.I.M.A. di Pistoia, Daniele Innocenti, e Silvia Belli, direttrice della collana di MdS Editore per i cui tipi è stato pubblicato il volume. A fare gli onori di casa il Presidente della Turati, Nicola Cariglia. La serata sarà inoltre allietata dagli intermezzi musicali dei Guitar Ozzi, duo acustico pistoiese formato da Silvia Nerozzi (voce) e Simone Vaccaro, chitarra e loop.
Il libro della Morrone si fregia di una introduzione di Mauro Corona. Ne riportiamo l’inizio “Il grande scrittore Milos Crnjanski in una pagina memorabile del suo romanzo “ Migrazioni” scrisse queste parole: “il passato è un abisso fosco e spaventoso. Ciò che è entrato in quel crepuscolo non esiste più e non è nemmeno esistito.”
Può capitare questo a molte persone ed è una malattia devastante a cancellare il passato. E non solo quello, anche il presente fatto di attimi.
In “Ero dunque sono”, intenso romanzo di Tiziana Morrone, nasce e si sviluppa spegnendosi pian piano il crepuscolo della memoria, l’oblio di chi non sa più di esistere nelle cose, nei giorni, nello sguardo dei propri cari.
Tra queste pagine di analisi alla dimenticanza, si fanno spazio, balenando qua e là come fragili rose, l’amore, la speranza, l’affetto e l’aiuto costante verso chi è colpito da cecità della memoria.
C’è una serra nel racconto della Morrone, una lunga stanza piena di fiori e profumi. E penso che non a caso compaia questo condominio orizzontale, esuberante di colori e fragranze.
Lo ha messo in piedi il protagonista, appassionato botanico, come se prevedesse il destino che lo attendeva al varco. E che inesorabile arriverà.
Chi non ha più ricordo dei volti, delle vie, di fatti e accadimenti sepolti per sempre nei giorni uguali dell’Alzheimer, conserva qualcosa che ostinatamente lo regge in piedi. Si chiamano sensi.
Il malato non sa più chi è ma può sentire l’odore delle cose buone, dei fiori, dei colori, di quel che ancora spunta dalla vita nascosta dietro alla tenda scura dell’oblio.
Li può vedere quei fiori, anche se i suoi occhi non incroceranno la rarissima orchidea che cercava da anni.
Metafora di un sogno lontano che tutti rincorriamo e non si realizza mai. L’orchidea è la nostra ansia delle cose. Non ricorda i nomi dei fiori il botanico, ma si sofferma a guardarli quando la vita ci mette davanti al “prendere o lasciare”, l’unghia adunca del destino stacca tessere dal nostro mosaico imperfetto. Allora ci si accontenta di quello che capita, senza più sognare.
Se poi, in latitanza di memoria si palesa qualcuno accanto ad aiutarci nell’impresa di cogliere coi sensi ciò che resta della vita, tanto meglio….”