Nuova puntata della rubrica di Michele Galardini, direttore di Carnage News. Il commento ad un classico di Vittorio De Sica.
I panni sporchi si lavano in famiglia. L’allora Sottosegretario Giulio Andreotti commentò così il film Umberto D di Vittorio De Sica, uscito nel 1952, volendo far intendere che certe volte è meglio evitare di dare un’immagine troppo drammatica della società. L’Italia degli anni ’50 era anche altro, è vero, ma ineliminabili erano le ferite ancora fresche della Seconda Guerra Mondiale che squarciavano con più forze le vite degli svantaggiati, dei deboli. Umberto Domenico Ferrari è uno dei tanti pensionati che nella prima sequenza protesta contro la pensione da fame elargita dallo Stato.
Per Umberto ogni necessità è una sfida resa impervia dal bisogno incessante di denaro. Tutto diventa labile, la casa, la salute, persino la dignità. Con la potenza visiva del bianco e nero il suo dramma si stacca dalle catene del presente, elevandosi a storia di tutti i drammi attraverso condizioni universali moralmente ineludibili, come la solitudine.
Non ci è permesso stare inermi di fronte a questo film, non possiamo pensarlo come un momento, come una delle tante storie, come un panno sporco da lavare, quando vediamo che l’unico amico rimasto a Umberto è un cagnolino, col quale chiede l’elemosina. Non possiamo e non dobbiamo impedire alle paure, che questo film mette a nudo, di invadere il nostro pensiero quotidiano, forse troppo occupato, sicuramente troppo cinico per realizzare che quelle immagini si ripropongono anche oggi, con diversi colori.
In assoluto il miglior film drammatico di De Sica, scritto e sceneggiato da Cesare Zavattini e musicato da Alessandro Cicognini. Una delle pochissime opere che sceglie di andare in profondità nella crisi, concentrandosi sui pensionati che, come recita un cartello proprio all’inizio del film “hanno lavorato tutta una vita”.
Michele Galardini