di Fabrizio Binacchi I terremoti non hanno riguardo per i confini amministrativi. Quelle che ci hanno scombussolato e creato lutto, dolore, ansia, panico, tendopoli e sfollamenti sono scosse padane. Modenesi e mantovane e ferraresi insieme. Ma anche un po’ bolognesi e toscane, e reggiane e venete, visto l’onda d’urto. La lingua della Lombardia mantovana è stata tristemente associata dal sisma alle zone del modenese e del ferrarese colpite sia nella notte della domenica sia nella mattinata disastrosa per effetti di martedì. Come se la forza della natura, le energie sprigionate dalle faglie che si rincorrono che si scontrano abbiamo voluto dire che il basso mantovano è territorio emiliano come per certi altri livelli di socialità e di economia territoriale viene riconosciuto. Scosse padane dunque. Con morti e distruzioni, con crolli e sfollati con tendopoli e allarmi come panorama condiviso. Certo nel modenese il disastro si accavalla ai lutti, i crolli ai pianti e alle polemiche sui lavori ripresi nei capannoni del rischio, ma c’è voluto parecchio per spiegare a molti che fanno il nostro mestiere che anche il mantovano è stato terremotato. Come se il confine amministrativo facesse un po’ da separazione tra serie A del disastro e serie B da dopo disastro. Sarà ora di spiegare che nelle ore del disastro e nella condizione diffusa della popolazione bisognosa i territori colpiti dal terremoto sono tutti da considerare come terre di attenzione. Monti ha assicurato che “nessuno lascerà solo nessuno”. Le scosse padane hanno dimostrato che la nostra pianura padana non è al riparo da nulla e che le zone rosse sono dietro l’angolo per tutti. Cerchiamo spiegazioni dagli esperti di sismologia e pretendiamo previsioni come se per prevedere un terremoto bastasse guardare le stelle. Ci sarà da abituarsi alle scosse padane, dicono gli esperti, perché le rocce sotto la pianura che pensavamo indenne si stanno scontrando, bella immagine, e dovremo allenarci mentalmente e fisicamente all’idea che la terra balla e che la differenza la fanno e la faranno le costruzioni. Pianti i nostri morti, recintati i ruderi a rischio crollo, abbracciati e aiutati sul serio quelli che hanno perso cari e beni, bisognerà rimboccarsi le maniche e davvero pensare ad una ricostruzione e a una costruzione di una nuova architettura industriale e abitativa che tenga -ripeto- davvero conto che il terremoto è tra noi. Senza confini, e purtroppo, senza pietà.
Fabrizio Binacchi
Direttore Sede RAI per l’Emilia Romagna