Restano basse nei prossimi anni le risorse pubbliche per la sanità. Le condizioni del Paese impediscono di fare meglio. Una politica più aperta verso il Terzo settore per mantenere i servizi.
Non sono rose e fiori per la sanità pubblica, dal momento che le risorse pubbliche per la sanità sono destinate a restare basse. Il Documento di Economia e Finanza (Def) per il 2017 fissa le previsioni di spesa per l’anno in corso e fino al 2020. Queste le cifre, in miliardi di euro:
2017 | 2018 | 2019 | 2020 | |
Spesa | 114.138 | 115.068 | 116.105 | 118.570 |
In % sul Pil | 6,7 | 6,5 | 6,4 | 6,4 |
Variazione % | 1,4 | 0,8 | 0,9 | 2,1 |
La prima notazione è che nel Def 2017 le previsioni di spesa riguardanti le risorse pubbliche per la sanità per il 2018 e il 2019 sono state ridotte, rispetto alla nota di aggiornamento al Def del 2016, dell0 0,2% per ciascuno dei due anni. La seconda notazione è che il livello della spesa sanitaria italiana, sempre rapportata al Pil, è di 1,3/1,5 punti percentuali inferiore a quella media dei Paesi del G7 che per la sanità spendono circa l’8% del Pil.
Ovviamente la situazione italiana è resa difficile: 1) dall’alto livello del debito pubblico che, anno dopo anno, obbliga ad una consistente spesa per interessi che, per gli anni presi in esame, oscilla secondo le previsioni da un minimo, rispetto al Pil, del 4% ad un massimo del 4,5%, il che tradotto in cifre tonde significa circa 70.000 miliardi l’anno; 2) dalla produttività, e quindi dal livello del Pil, che è fra i più bassi di tutti i Paesi sviluppati. Quindi senza misure che aumentino la produttività e che riducano il debito pubblico è difficile fare di meglio e aumentare le risorse pubbliche per la sanità.
Una situazione che è destinata a durare anni e che, in presenza di un aumento costante del tasso di invecchiamento della popolazione (nel periodo considerato la popolazione con più di 65 anni passerà dal 20,4% del totale al 22,3), avrà ripercussioni non secondarie sull’erogazione dei servizi sanitari. A fronte della situazione data è del tutto inutile stracciarsi le vesti o, addirittura, promettere svolte difficile da mantenere, come quella dell’abolizione dei ticket. Si devono invece mettere in campo politiche che permettano di tenere i conti il più possibile in ordine mantenendo nel contempo il massimo dei servizi possibili. E questo è possibile farlo solo “sfruttando”, sotto la guida e la programmazione delle autorità sanitarie pubbliche, tutte le potenzialità che, in termini di flessibilità, efficienza e tipologia di prestazioni, offre il Terzo settore. Cosa che non significa assolutamente, come alcuni paventano, tornare indietro rispetto alla centralità del servizio pubblico, che non può e non deve significare che è il “pubblico” che deve erogare tutti i servizi. Anzi in questa posizione si nasconde un pericolo enorme, proprio sotto il profilo del mantenimento dei servizi. Se, vista la scarsità di risorse pubbliche per la sanità, la scelta, come viene ipotizzato da alcune forze politiche, fosse infatti quella di ridurre i servizi che vengono erogati in convenzione, per trasferire all’erogatore pubblico parte di quelle risorse, si avrebbe un risultato contrario alle aspettative, e cioè la riduzione e non l’aumento delle prestazioni complessivamente date ai cittadini.