Grande successo per il Convegno organizzato dalla Fondazione Turati su “La solitudine del Caregiver”. Indispensabile più collaborazione, all’interno di una cornice comune, fra Stato, Terzo Settore e Mercato.
Una partecipazione davvero fuori dell’ordinario ha fatto da cornice alla prima delle manifestazioni volute dalla Fondazione “F. Turati” per festeggiare il cinquantesimo anniversario della sua nascita. Cinquant’anni nei quali la Turati è cresciuta a ritmi sostenuti realizzando sulla Montagna P.se, a Vieste, sul Gargano, e a Zagarolo, alla periferia di Roma, Centri di riabilitazione, RSA, RSD e servizi territoriali di assoluto livello qualitativo. Tema scelto per il primo appuntamento, che si è tenuto lunedì 21 marzo a Pistoia, città dove è nata la Fondazione, “La solitudine del caregiver, politiche e strumenti innovativi per prendersi cura di chi cura”. Due i momenti. Il primo, nel pomeriggio, nella Sala sinodale del Palazzo dei Vescovi, messa a disposizione dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e della Lucchesia. Il secondo, al cinema Globo con la proiezione, alla presenza del regista Pupi Avati, del film “Una sconfinata Giovinezza”, un film del 2010 che affronta in modo diretto, ma con grande delicatezza, il tema delle difficoltà e dell’impegno a cui è sottoposto chi, in famiglia, si prende cura di un proprio congiunto affetto da una malattia invalidante.
Al convegno del pomeriggio la relazione introduttiva è stata tenuta dalla Prof.ssa Franca Maino, giovane ma valida ed affermata studiosa di welfare, docente all’Università Statale di Milano e direttrice del Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare del Centro Einaudi di Torino. Dall’intervento è emerso con chiarezza che il problema principale del nostro welfare non deriva tanto dalla scarsità delle risorse a disposizione o dall’ eccessiva burocratizzazione degli interventi ma, in via principale, dal fatto di essere un sistema fortemente squilibrato. Protegge in misura massiccia i bambini e gli adulti in età lavorativa ma tutela in modo molto marginale le persone anziane che, in conseguenza del costante miglioramento delle cure e della qualità della vita, stanno aumentando in modo esponenziale. I dati sull’invecchiamento della popolazione riportati dalla Maino sono stati impressionanti. Il trend riguarda tutti i paesi svliluppati ma è particolarmente accentuato in Italia. Nel 2047, e sarà la prima volta nella storia umana, gli adulti ultrasessantenni saranno più dei giovani fino a 16 anni e nel 2030, in Italia, il 26% della popolazione avrà più di 65 anni e l’8,2% ne avrà più di 80, a fronte di una media europea che sarà del 5%.
Conseguenza diretta di questo scenario è l’aumento, almeno in termini assoluti, di quel segmento di anziani con bisogni sanitari e socio-assistenziali che necessitano assistenza di tipo continuativo (Long-term Care, LTC: al 2013 erano oltre il 20% degli ultrasessantacinquenni, cioè più di due milioni e mezzo, tutte persone che presentano limitazioni funzionali di diverso tipo). Una platea impressionante di “soggetti deboli” che chiede al sistema pubblico di welfare sempre più servizi ma che dalle istituzioni e dalla società riceve poco o niente vuoi per lo squilibrio prima ricordato vuoi per la crisi economica, la recessione e i tagli conseguenti.
Il peso dell’assistenza grava quindi prevalentemente sulla famiglia, all’interno della quale un soggetto, in prevalenza una donna, si prende cura in modo continuativo del proprio congiunto. Queste persone sono i caregiver (il termine è di derivazione inglese e significa “colui che dà assistenza”). Stime recenti dicono che solo in Italia i caregiver sono oltre 3 milioni. Poco più della metà concilia il lavoro di assistenza con un’ occupazione, l’altra parte invece non lavora e non cerca nemmeno di lavorare. Come ha sottolineato la Maino nella sua relazione “I caregivers sono oggi una componente indispensabile e imprescindibile dell’erogazione, dell’organizzazione e per la sostenibilità dei nostri sistemi sanitari e sociali. Senza i caregivers informali, i servizi di cura e assistenza formale sarebbero semplicemente insostenibili e molti bisogni di cura non troverebbero una risposta adeguata”. Un’ indispensabilità che è confermata anche dal livello di spesa che le famiglie sostengono annualmente per assistere i propri cari. Oltre 13 miliardi di euro, secondo le cifre riportate dalla Maino, di cui 9 miliardi vanno alle badanti e i restanti per il pagamento delle rette in RSA di circa 300.000 ospiti longevi.
Particolare da non sottovalutare poi il fatto che con il passare del tempo i caregivers saranno sempre più indispensabili a causa dell’invecchiamento della popolazione e della crescente prevalenza di malattie croniche e di situazioni di fragilità e vulnerabilità.
Un quadro su cui si potrà incidere positivamente, come ha messo in luce Franca Maino nelle sue conclusioni, solo attraverso nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che rispondano ai bisogni sociali in modo più efficace rispetto all’esistente. Ma serve soprattutto coinvolgere accanto allo Stato anche il Mercato e il Terzo Settore facendo rete, operando in modo sinergico e favorendo la partecipazione di tutti i soggetti.
La situazione tracciata nella relazione della Maino è stata poi confermata anche dagli interventi, alcuni molto emozionanti perchè vissuti in prima persona, del presidente nazionale dell’’Auser, Enzo Costa, di Stefania Bastianello, dell’associazione italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, di Marcello Paris, dell’Associazione malati di Parkinson, di Daniele Innocenti, dell’Associazione malati di Alzheimer, di Anna Bruschi, presidente della Onlus Apr e di Patrizia Pellegatti, di Cisl Toscana, che si è soffermata su quali sono, attualmente, le tutele legislative assicurate ai caregivers. A chiudere i lavori del pomeriggio gli interventi di Daniele Mannelli, direttore della Società della Salute e dell’assessore comunale, Tina Nuti, che hanno illustrato le politiche pubbliche per la non autosufficienza e gli impegni per il futuro.
La giornata si è conclusa dopo cena al cinema Globo, quasi esaurito, con la proiezione del film di Pupi Avati “Una sconfinata giovinezza” alla presenza del regista e del produttore Antonio Avati. L’opera tratta con tenerezza la figura del caregiver, in questo caso interpretata da Francesca (Francesca Neri) moglie del giornalista sportivo Lino Settembre (Fabrizio Bentivoglio): i due, dopo 25 anni di felice matrimonio, si trovano a dover affrontare l’improvviso sopraggiungere di una grave patologia neuronale che colpisce l’uomo, condizionandone i ricordi e la capacità di lavorare e vivere normalmente. Prima della proiezione il giornalista e critico cinematografico Michele Galardini ha intervistato sia il produttore Antonio Avati, che ha ricordato lo scarso gradimento iniziale del film da parte del pubblico, che Pupi Avati che si è invece soffermato sulle ragioni, alcune delle quali anche familiari, che, nel 2010, lo portarono a fare quel particolare tipo di film. Secondo il regista la storia del protagonista Lino Settembre e della malattia che lo ha colpito è emblematica del percorso di vita che fa ogni persona. Da ragazzi l’età della spieratezza, a cui segue l’età adulta, con l’impegno del lavoro, poi l’età della maturità ed infine la vecchiaia, magari aggravata da una malattia, come nel caso del protagonista della pellicola. E’ in questa “quarta fase” della vita che ognuno di noi, sempre più fragile, torna al passato, all’età felice della gioventù in una sorta, appunto, di “sconfinata giovinezza”.