L’ultima indagine dell’Onu sulla condizione sociale degli anziani nel mondo dice che l’Italia è al 27° posto, dopo la Cina e la Slovenia.
Che, noi Italia, non siamo un Paese per giovani lo sappiamo da anni e ce l’hanno confermato gli ultimi dati sulla disoccupazione giovanile: disoccupati e inoccupati più del 40 per cento. Cifre che fanno scalpore anche in Sudamerica. Ora scopriamo -e abbiamo la conferma- che non siamo nemmeno un Paese per vecchi, non siamo nemmeno un Paese per nonni. Che di nonni ne ha tanti. L’ultima indagine dell’Onu sulla condizione sociale degli anziani nel mondo dice che l’Italia è al 27° posto, dopo la Cina e la Slovenia. Con tutto il rispetto per il grande super paese asiatico e la più piccola repubblica alle porte italiane c’è ovviamente di che lamentarsene. Come condizione delle nonne e dei nonni italiani veniamo al 27° posto secondo parametri oggettivi di trattamento sociale, pensioni, assistenza, inserimento, inclusione, attese di vita e annessi fattori delle ricerche statistiche più corrette. E’ evidente che anche questa è una spia di fragilità e di malessere: l’Italia è la terza economia d’Europa ed è almeno per il momento ancora nel Gruppo dei 7 (oggettivamente 8) Paesi più “potenti” al mondo, eppure scivola quasi al trentesimo posto per condizione di quella fascia di età, gli over 65, che dovrebbe invece essere valorizzata e ancor più inserita in ambiti di servizi solidali e di assistenza. Per stare meglio le nonne e i nonni italiani dovrebbero andare in Svezia, Finlandia e in Germania. Che strana coincidenza: Svezia, Finlandia e Germania sono proprio gli stessi Paesi i cui i nostri giovani, i nostri figli e nipoti, cercano di andare per lavorare, crescere, fare ricerca, sviluppare progetti. Insomma è un problema di sistema e non solo un problema di classi. E d’altra parte lo ha indicato e chiaramente detto Papa Francesco in uno dei suoi primi discorsi: la nostra società dimentica le due ali del proprio schieramento generazionale cioè i giovani egli anziani. E la società che da questo non è una società giusta. Dunque non è un Paese per giovani, non è un Paese per vecchi chissà se è un Paese per adulti. Vengono dubbi anche su questo visto che a causa della crisi e di riforme, che non arrivano mai, anche schiere di cinquantenni rischiano di essere escluse dal sistema produttivo. A ben guardare allora questo rischia di essere un Paese per trenta-quarantenni più fortunati degli altri, che sono nati in un certo territorio e magari in una certa famiglia. Esattamente quello che la buona politica e la buona amministrazione scoiale dovrebbero cambiare e migliorare. Ascensore sociale o pozzo civile? Perché sarebbe nella loro ragione sociale, nel compito primario delle istituzioni migliorare e non far ristagnare. Non possiamo permetterci di bruciare sull’altare di uno sviluppo incompiuto generazioni di giovani ed ex giovani che hanno investito soldi e vite in studi e formazione che non sanno come applicare e dove indirizzare. Non possiamo permetterci che perdano la fiducia in un sistema che da almeno vent’anni non sa rispondere alle loro richieste e alle loro attese. Parole vuote. Ma quando arrivano centinaia di curricula e non sai come rispondere, più che un’analisi razionale ti devi far prendere dal “magone” e chiederti cos’abbiamo fatto davvero. E se perfino nonni e nonne rischiano di stare meglio in Slovenia e in Cina – ripeto con tutto il rispetto per sloveni e cinesi- vuol dire che i campanelli d’allarme sono ormai diffusi e vanno davvero presi sul serio. La società siamo tutti, anche quelli che bussano alla porta, anche quelli che hanno chiuso la porta del lavoro e possono essere ancor più utili nel mondo dell’infinito sociale.
Fabrizio Binacchi