In questo numero della newsletter pubblichiamo l’intervento del sindaco di Pistoia, Samuele Bertinelli, all’inaugurazione di Koinos, il nuovo poliambulatorio specialistico della Fondazione Turati. Nei prossimi numeri gli interventi del direttore dell’Asl, Roberto Abati, e dello scrittore Mauro Corona.
Quest’oggi celebriamo una giornata di festa. Ma questa giornata è anche inevitabilmente un momento di riflessione. Chi mi ha preceduto ha introdotto temi molto impegnativi e mi sembra necessario inserire il senso di questa festa nel contesto generale nel quale versa il Paese.
Il diritto alla salute
È stato già detto: la difficoltà di risorse e la crescita dei bisogni, a fronte della decrescita delle risorse stesse, rappresentano un tema significativo che obbliga a riconfigurare il welfare per come lo abbiamo conosciuto fin qui. Io vorrei affrontare la questione, però, anche da un altro punto di vista – più schietto e forse più realistico – perché ritengo che, in tutto questo, ad essere coinvolto non sia soltanto l’aspetto delle risorse.
Certamente il problema economico è rilevante e sta mettendo in questione, non da oggi, il modello universalistico, tendenzialmente gratuito e pubblico della sanità italiana. Ma tutto ciò ha a che fare con qualcosa di molto profondo e importante perché, parafrasando altre stagioni della nostra vita democratica, potremmo dire: “si scrive sanità, si legge democrazia”. Infatti, quando ad essere messo in discussione è, in qualche misura, il diritto a una sanità pubblica per come l’abbiamo costruita, ovvero tendenzialmente gratuita e universalistica, in questo passaggio viene necessariamente messo in gioco qualcosa che afferisce alla qualità della nostra democrazia. Io penso, allora, che questo sia un tema che attiene anche a un modello di società, all’organizzazione della nostra democrazia.
Un welfare da riformare
C’è nel nostro Paese un ritardo, che si rende evidente con tutte le sue conseguenze, che è nato vent’anni fa dall’incapacità della politica di leggere quei mutamenti demografici e sociali che un riformismo maturo avrebbe dovuto sapere analizzare, un riformismo che oggi dovrebbe portarci a cambiare il welfare per assicurargli durata e sostenibilità. Noi non abbiamo colto, quando era il momento, il procedere della disgregazione della famiglia patriarcale tradizionale e oggi un terzo delle nostre famiglie è composto da un solo individuo. Né abbiamo colto la rapidità dell’invecchiamento della popolazione italiana che, com’è evidente, in sé è un elemento positivo. Questo vale anche per la nostra realtà locale perché, nella ASL pistoiese in particolare, la popolazione maschile è tra le più longeve d’Italia e addirittura anche del mondo, dato che il nostro Paese ha una longevità della popolazione generale seconda soltanto al Giappone. Ma i trend di invecchiamento demografico di certo non si determinano in un giorno e non si scoprono soltanto per misurare l’ insostenibilità dei sistemi previdenziali. Essi definiscono nuove attese di vita e di qualità della vita che, se letti in relazione con il mutamento della composizione sociale e anche della composizione dei nuclei familiari, inducono a una riflessione radicale circa le nuove generazioni di servizi. Quello che a noi serve non è soltanto difendere quello che c’è, ma anche inventare nuove tipologie di servizi per soddisfare nuovi bisogni. È questo il tema di fondo rispetto al quale io colloco la festa di quest’oggi.
L’importanza della sussidiarietà orizzontale
La Fondazione porta un nome impegnativo, quello di Filippo Turati. Turati, ma potremmo menzionare anche Treves, Trampolini, Anna Kuliscioff, tutti rappresentano un modello di riformismo cooperativistico di stampo socialista e gradualista, che ha inventato il welfare municipale agli inizi del secolo scorso, radicando servizi che non esistevano e inventandoli, complice una legislazione sociale avanzata – quella di allora, quella giolittiana – nella lettura dei bisogni della società italiana del primo Novecento. È ciò che dobbiamo sforzarci di fare anche noi oggi.
Un altro socialista intellettuale di grande valore, ancora vivo, che è Giorgio Ruffolo, ha parlato solo pochi anni fa dell’esigenza di fare evolvere quello che noi continuiamo a chiamare impropriamente il Terzo Settore, mescolando tutto (privato, privato sociale, cooperazione, volontariato, Onlus e quant’altro) in un vero e proprio terzo sistema, costruendo cioè modelli di integrazione orizzontale, la cosiddetta sussidiarietà orizzontale, di un welfare, in particolare quello locale che, per quanto riguarda la progettazione dei servizi non può, e forse nemmeno deve, essere soltanto a carico dello Stato, delle regioni, degli enti locali.
Naturalmente questo non deve significare un arretramento del pubblico rispetto a una funzione di regia e di garanzia per tutti, per quanto riguarda l’accesso ai servizi sanitari; al contrario deve significare la capacità di districarsi dalle pastoie della mancanza di risorse, la capacità visionaria di immaginare nuovi servizi.
Il ruolo della Fondazione Turati
La Fondazione Turati è importante per tante ragioni. Perché rappresenta un presidio occupazionale significativo sul nostro territorio, penso in particolare a Gavinana, ma anche qui a Pistoia, perché ha una storia pluridecennale di organizzazione attiva della solidarietà per i più piccoli e poi per i più anziani e per i disabili, perché attua numerose forme di riabilitazione, non soltanto sanitaria, ma anche sociosanitaria, anche legata a nuove patologie. Il Centro che oggi inauguriamo guarda a nuove, crescenti patologie che vanno diffondendosi endemicamente nella popolazione generale, cioè sta sulle frontiere dei mutamenti dei dati della salute pubblica e soprattutto costituisce una storia di riformismo attivo e operoso, perché non si tratta di una storia declamatoria, che pronuncia petizioni di principio, ma al contrario è la storia di un’evoluzione costante di servizi concreti organizzati per le esigenze in continuo divenire delle popolazioni dei territori sui quali questa Fondazione è radicata, non soltanto la Toscana ma, com’è stato detto, il Lazio e la Puglia.
La nuova frontiera del cohousing
Questo comporta anche il tentativo di costruire in montagna una prospettiva per quello che da troppi anni, soltanto nel gergo della convegnistica e senza vederlo concretamente in opera, chiamiamo il cohousing, quello sociale in particolare. Non casualmente questa è la risposta a un appello della Regione che intelligentemente chiede, con le stesse risorse, di fare più cose e, soprattutto, cose nuove. E ciò vuol dire, in sostanza, che, se riusciremo a vederlo, e ne sono sicuro, si aprirà un orizzonte di speranza per questo territorio e oltre, perché significa affermare il diritto, per anziani anche soli, coppie che si trovino in condizioni di vulnerabilità anche solo per la loro condizione di anzianità, di avere il diritto di non morire di solitudine, al di là delle patologie. Troppo spesso la possibilità di non morire di solitudine è negata anche nella popolazione di terre civilissime come la nostra.
Allora il cohousing, che tenterete di sperimentare, non è soltanto un modo per abbattere i costi del sistema, integrare i servizi e ampliare l’offerta rendendola più accessibile anche per coloro che altrimenti non potrebbero permetterselo, (il che è già moltissimo), ma è soprattutto il tentativo di costruire una più avanzata dotazione di servizi che risponda all’appello del futuro. Perché è chiaro che, nel momento in cui si appuri che la popolazione di ultrasessantacinquenni soli è pari a quasi un terzo della popolazione generale, questo deve diventare il tema su cui lavorare già da ora per gli anni a venire.
La capacità di risposte concrete
Ed è qui che si misura un riformismo operoso. Il socialismo riformista è sempre stato questo e penso di poter affermare che la capacità di dare risposte concrete, mutevoli, con un approccio laico ai problemi, si possa constatare anche qui, oggi, in questo centro che aumenta la dotazione di servizi, rafforza la quantità e la qualità di specialisti che si sono resi disponibili nell’ottica di questo spirito della Fondazione Turati, a corrispondere, in termini flessibili, a esigenze anche nuove della popolazione non soltanto pistoiese, qualcosa che ha il sapore di una festa. Una festa che non è soltanto un rituale, ma che è un segno di speranza, perché nonostante la difficoltà che attraversa il Paese, ancora si muove l’operosità intelligente di realtà come questa. E ciò significa che anche i nostri territori si stanno muovendo per reinventare il futuro, per rispondere nel più difficile dei tempi presenti all’appello dell’avvenire.
Il dovere di garantire l’uguaglianza
Alla fine il tema cruciale è quello dell’uguaglianza: consentire a tutti di avere diritto alle cure e all’accesso a servizi che siano evoluti, non solo per le dotazioni tecnologiche, ma per le qualità professionali e per la formula con la quale vengono offerti. E, dunque, un ringraziamento del Sindaco, e attraverso il Sindaco, dell’intera municipalità, al lavoro che avete fatto in oltre 50 anni, con l’augurio di almeno altri 50 anni come questi! Grazie, buona festa