L’insonnia può essere un segno premonitore dell’Alzheimer, malattia che porta alla demenza attraverso la morte delle cellule cerebrali. Uno studio pubblicato su Science Translational Medicine e condotto sui topi all’università diWashington ha messo in relazione le alterazioni del sonno con lo sviluppo dell’Alzheimer in età avanzata, suggerendo quindi nuovi rimedi per una terribile malattia, purtroppo in larga parte ancora sconosciuta.
La demenza — compreso il morbo di Alzheimer – colpisce in Italia dall’1 al 5% della popolazione sopra i 65 anni di età, e raddoppia poi ogni quattro anni, giungendo a una percentuale di circa il 30% della popolazione di 80 anni.
Si sa che nel cervello dei malati di Alzheimer si formano blocchi di proteine, note come placche, e sono un punto chiave di questa malattia. Questo studio ha mostrato che quando queste placche iniziano a formarsi, nei topi, si hanno i primi segni di disturbi del sonno. È chiaro che trovare segni precoci dello sviluppo dell’Alzheimer sarebbe cruciale per affrontarlo in modo efficace. Infatti attualmente la malattia si scopre quando la memoria dei pazienti è già gravemente compromessa, e alcune parti del cervello sono già state distrutte. A quel punto, un trattamento efficace è molto difficile o impossibile. Per questo sarebbe fondamentale poter stabilire segni premonitori, dei primi sintomi che rendano possibile un intervento medico tempestivo.
La ricerca sul tema si concentra attualmente sulle placche di proteine precursori dell’amiloide. Si tratta di proteine multifunzionali presenti sulla membrana delle cellule cerebrali, ma anche cardiache, renali, polmonari e intestinali. La loro funzione è sconosciuta. Si sa però che nell’Alzheimer queste proteine si degradano, liberando frammenti (peptidi A beta) in parte responsabili della formazione di aggregati beta-amiloidi, le placche cerebrali di cui parlavamo prima.
I livelli di queste proteine aumentano e diminuiscono naturalmente nel corso delle 24 ore, sia nelle persone che nei topi, ma solo nei malati di Alzheimer si raggruppano in placche. Lo studio ha visto che i topi — che normalmente dormono 40 minuti ogni ora del giorno — riducevano il sonno a 30 minuti non appena iniziavano a sviluppare le placche nel cervello. Si tratta di uno studio preliminare e, hanno detto i ricercatori, “se esiste un legame tra l’insonnia e l’insorgenza delle placche, e quindi lo sviluppo dell’Alzheimer, non siamo però ancora in grado di capire quale forma di insonnia sia quella premonitrice: se si tratta ad esempio semplicemente di una riduzione complessiva delle ore di sonno o se invece possa essere la difficoltà a stare svegli derivata da un sonno leggero, o ancora qualcosa di completamente diverso“.
Inoltre, non è detto che quello che si applica ai topi sia precisamente vero anche per le persone, anche perché appunto esistono diverse forme di insonnia o disturbi del sonno. È quindi indispensabile condurre altri studi di questo tipo sugli esseri umani, prima di poter arrivare a una conclusione. “Sicuramente comunque un sonno disturbato può portare un declino delle abilità intellettive, come mostrato da altri studi, ed è quindi importante non sottovalutare il disturbo“.
A confermare il legame tra insonnia e Alzheimer ci sono comunque anche altri studi, sebbene ancora non sufficienti. Uno è stato condotto in Scozia, al CPS Reserch. Partendo dal dato di fatto che i pazienti con Alzheimer non hanno livelli normali di melatonina — l’ormone che regola il sonno — lo studio voleva capire se un trattamento con questa sostanza potesse migliorare le loro condizioni. I primi risultati parlano di un effettivo miglioramento, dovuto probabilmente a una migliore qualità del sonno: con la melatonina queste persone dormivano meglio, e il giorno dopo si notavano progressi nella memoria e nelle capacità cognitive generali. A questi vantaggi, bisogna aggiungere che le medicine a base di melatonina sono praticamente prive di effetti collaterali. Il progetto — dapprima sperimentato su soli 50 pazienti — sta andando avanti coinvolgendo nuovi pazienti, per ottenere ulteriori dettagli e conferme sugli effetti della melatonina.
Altri studi hanno messo in evidenza come le alterazioni del ritmo circadiano, in particolare del rapporto sonno-veglia, possono portare ad accumulare placche amiloidi nel cervello e quindi allo sviluppo dell’Alzheimer. Queste ricerche sono state condotte sia su animali che su uomini, e hanno visto che il ritmo sonno-veglia regola i livelli di quelle proteine tossiche e che un taglio netto nelle ore di sonno aumenta la loro quantità nel cervello. Si è visto inoltre che la melatonina, l’ormone che appunto regola il ritmo circadiano, ha funzione protettiva sulle cellule esposte a queste proteine.
Se è stato quindi confermato che episodi acuti di insonnia possono portare a un aumento di queste sostanze tossiche, resta ancora da capire se una mancanza cronica di sonno abbia lo stesso effetto. Ma il principale dubbio su cui ancora si arrovellano gli scienziati è se sia nato prima l’uovo o la gallina: le disfunzioni del sonno sono la causa o l’effetto dell’accumulo dei pericolosi amiloidi? L’insonnia può essere causa oppure effetto dello sviluppo dell’Alzheimer?
Pubblicato da wired.it