Pubblichiamo un interessante articolo di Stefano Zamagni apparso sul sito de Il Sole 24 Ore dell’11 settembre.
La 47° settimana sociale dei Cattolici italiani (Torino, 12-15 settembre) ha come tema: “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Il titolo, assai azzeccato, dice dell’attenzione e del coinvolgimento della Cei (il soggetto organizzatore della Settimana) nell’affrontare quella che, con buone ragioni, si può chiamare l’emergenza familiare. È un fatto che, nonostante una certa retorica di maniera, nel nostro Paese si continua a vedere la famiglia solamente come una delle voci di spesa del bilancio pubblico e non anche come risorsa strategica per lo sviluppo umano integrale.
Del pari, si continua a considerare la famiglia variabile dipendente che, in quanto tale, deve adeguarsi a quanto viene deciso dagli altri attori sociali. E soprattutto non riesce ad essere accettata l’idea che la famiglia, prima ancora di essere soggetto di consumo, è soggetto di produzione. Oggi v’è un’abbondante evidenza empirica che indica come la famiglia sia il massimo generatore di capitale umano, capitale sociale, capitale relazionale; altro che luogo di affetti e basta. Non c’è allora da sorprendersi che la spesa pubblica italiana per i servizi alla famiglia sia immeritatamente bassa (contro una media Ue dell’8% della spesa sociale, l’Italia destina alla famiglia il 4,1%).
Non solo, le modalità con cui vengono combinate le politiche che attribuiscono alla famiglia risorse di tempo (orari flessibili, part-time, congedi parentali, etc), risorse monetarie (deduzioni e/o detrazioni; buoni per l’acquisto di beni e servizi, tariffe, etc.); risorse per la fornitura diretta di servizi di cura sono tali da determinare spesso effetti perversi. Questo accade perché si insiste con politiche settoriali per età (bambini, giovani, anziani non autosufficienti, etc.), anziché passare alle politiche del corso di vita aventi per fine un sistema integrato per la promozione del benessere familiare. (La famiglia non è una somma di segmenti tra loro autonomi, ma un prodotto degli stessi: se uno di questi soffre, è tutta la famiglia a risentirne!)
Che fare, dunque? Dare progressiva attuazione al Piano nazionale per la Famiglia approvato dal Consiglio dei ministri il 7 giugno 2012. (Si badi che questo è il primo Piano che l’Italia si è data sulla questione famiglia). Va da sé che lungimiranza politica e saggezza economica suggeriscono una prioritarizzazione dei numerosi provvedimenti previsti e ciò sulla base del criterio dell’urgenza, che non sempre coincide con quello dell’importanza. Non esito ad indicare i seguenti. Primo, perfezionamento del metodo di calcolo dell’ISEE, che, nonostante i miglioramenti apportati rispetto alla versione tuttora in vigore, sottostima ancora tanto la scala di equivalenza e si presenta ancora troppo rigido per tener conto adeguatamente delle singole situazioni. Relativamente alla riforma del sistema fiscale, occorre una buona volta aprire alla proposta di introduzione del Fattore Famiglia, che da tempo il Forum delle Associazioni Familiari e altri soggetti vanno chiedendo. Secondo, adeguamento fino al 70% della retribuzione del congedo parentale – ora al 30% – con forme di autofinanziamento, come già avviene in altri Paesi europei. Inoltre, grande giovamento le giovani coppie trarrebbero dalla fruizione oraria del congedo parentale e dal riconoscimento ai nonni, in alternativa ai genitori, della possibilità di usufruirne.
Terzo, aumentare la dotazione, modesta, del Fondo per le Politiche Famigliari (previsto dalla L.296/2006) mediante l’approntamento di piattaforme specifiche di crowdfunding e dei nuovi strumenti di finanza alternativa (obbligazioni sociali e altro ancora). Il potenziale italiano di raccolta fondi è veramente notevole, date le caratteristiche del nostro Terzo Settore. Quarto, prevedere la creazione del Distretto Famiglia, sulla falsariga di quanto già realizzato con successo dalla Provincia di Trento. Un tale provvedimento si accompagnerebbe agevolmente all’istituzione sia di un sistema nazionale di rating per tutti quei soggetti (pubblici e privati) che chiedessero il Marchio Famiglia in quanto “organizzazione familiarmente responsabile”, sia della Giornata Nazionale della Famiglia, sul cui valore simbolico non si possono nutrire dubbi. Infine, occorre dare un segnale concreto per affrontare in modo serio il problema della compatibilizzazione tra vita familiare e vita lavorativa per il mercato.
Invero, le politiche di armonizzazione tra famiglia e lavoro (per il mercato) non possono limitarsi a migliorare la produttività delle imprese e a consentire alla donna che ha famiglia di adattarsi alle esigenze del ciclo lavorativo al fine di aumentare il reddito famigliare. (Sono questi in realtà gli obiettivi cui mirano le attuali politiche di conciliazione del tipo work-life balance). Perché se questi fini, di per sé legittimi e auspicabili, vengono perseguiti in modo da peggiorare la qualità delle relazioni intra e interfamiliari, il vantaggio netto sarebbe, alla lunga, certamente negativo.
Chiudo osservando come le proposte di cui sopra siano tutte traducibili in progetti di immediato approntamento e soprattutto compatibili con il vincolo del nostro bilancio pubblico – a condizione che lo si voglia.