Qualche settimana fa il CENSIS ha presentato il «Bilancio di sostenibilità del welfare italiano», realizzato per il Forum Ania (Associazione nazionale imprese assicuratrici) – Consumatori in cui sono presentate le proposte di assicuratori e consumatori per un welfare futuro equo e sostenibile.
La condizione economica delle famiglie e le vicende della vita
Il punto di partenza è l’approfondimento degli effetti della crisi sulla condizione economica delle famiglie e sulla capacità del loro reddito mensile di coprire abitualmente le spese:
- oltre il 21% delle famiglie intervistate dichiara che il reddito familiare mensile di solito copre le spese e consente loro di risparmiare qualcosa;
- il 38,7% va in pari;
- poco più del 19% dichiara di andare normalmente in pari, a meno che non capitino più volte consistenti spese impreviste, dell’ordine di 400 euro;
- quasi il 21% delle famiglie non riesce a coprire le spese con il reddito mensile disponibile.
Le principali preoccupazioni riguardano gli eventi comunque al di fuori del loro controllo: l’insorgere di una malattia (37,85), la disoccupazione (30,4%) e la non autosufficienza (29,6%) seguita dalal vecchiaia con una pensione inadeguata (27,5%)
Preoccupazioni degli italiani | % |
insorgere di una malattia | 37,8 |
disoccupazione/perdita del lavoro | 30,4 |
non autosufficienza | 29,6 |
inadeguatezza del reddito disponibile | 23,9 |
vecchiaia/livello della pensione | 27,5 |
difficoltà del figli nel lavoro, nella vita autonoma | 23,5 |
situazione abitativa | 6,3 |
nessuna | 4,4 |
L’impatto della spesa per il welfare
Anche le spese di welfare (nuove spese o spese pregresse in rialzo) sono nell’opinione dei cittadini (34,9%) in grado di mettere in crisi i bilanci familiari:
- oltre il 34% degli intervistati indica come spese che stanno generando impatti negativi sul reddito familiare la spesa per i ticket per farmaci e/o visite specialistiche e/o accertamenti diagnostici;
- il 32,4% indica la spesa per le visite mediche specialistiche interamente a proprio carico;
- oltre il 20%, gli accertamenti diagnostici interamente a proprio carico.
Nuove spese o spese aggiuntive per la salute e socioassistenziali che mettono in crisi i bilanci familiari (%) | |||
ticket (farmaci, visite specialistiche, accertamenti diagnostici) | 34,3 | tutori ausili dispositivi medici | 3,9 |
visite specialistiche interamente a carico dell’assistito | 32,4 | spese assistenziali | 3,7 |
accertamenti diagnostici interamente a carico | 20,3 | diete speciali | 3,3 |
farmaci interamente a carico | 16,9 | fisioterapista/riabilitazione | 3,1 |
spese odontoiatriche a carico | 15,4 | infermieri | 1,2 |
spese per polizze assicurative | 11,3 | rette per presidi diurni o permanenti minori anziani disabili | 0,4 |
Queste spese sanitarie private, interamente a carico dei cittadini, di norma non rinviabili e dovute a prestazioni che i cittadini stentano ad avere tempestivamente nel pubblico a causa delle lunghe liste di attesa hanno una forte connotazione regressiva. : nei fatti le spese per visite mediche ed accertamenti diagnostici a pagamento impattano negativamente sui bilanci, rispettivamente, del 37,6% e del 27,4% delle famiglie a basso reddito, delle quali quasi la totalità (99,4%) le considera minacce serie alla tenuta del reddito familiare.
“La regressività della spesa sanitaria privata – afferma il CENSIS – quindi è legata solo in parte alle manovre di finanza pubblica che hanno colpito la sanità, perché rinvia anche alla insufficiente offerta pubblica rispetto alla dinamica della domanda, che in alcuni contesti rende inevitabile il ricorso alla sanità privata se si vuole avere accertamenti o terapie in tempi rapidi, o percepiti come tali”.
Sono soprattutto le famiglie monogenitoriali, quelle con almeno tre figli e quelle con giovani precari che hanno dichiarato di avere avuto insorgenza di nuove spese e/o aumenti di spese già in essere che stanno facendo traballare la tenuta economica del budget familiare.
Questa dimensione di tenuta o di minaccia alla sostenibilità risulta meno rilevante invece per le famiglie con presenza di un giovane precario o per quelle con un anziano non autosufficiente.
È molto interessante articolare le tipologie di spese che sono indicate dai nuclei familiari come minacciose rispetto alla propria sostenibilità:
- nelle famiglie con bambini, da quelle con figli fino a 3 anni a quelle numerose, alle monogenitoriali, a pesare di più sono le spese per bollette luce, gas, telefono e anche quelle per generi alimentari e di altro tipo;
- nelle famiglie con un anziano non autosufficiente è stato avvertito particolarmente l’aumentato peso delle spese di tipo sanitario, dai ticket alle prestazioni interamente a proprio carico;
- nelle famiglie standard con figli, oltre alle spese per bollette varie e per alimentari e non, sono richiamate anche le spese per polizze assicurative di vario tipo
Il risultato, oltre ad una maggior spesa delle famiglie, è il c.d. “razionamento intenzionale” per quasi nove milioni di italiani che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie :
- il 10,9% le famiglie in cui uno o più membri hanno dovuto rinunciare e/o rinviare almeno una prestazione legata all’istruzione/formazione;
- il 5,9% le famiglie con almeno un minore e/o un anziano non autosufficiente che dichiara di avere uno o più membri che hanno dovuto rinunciare ad una o più prestazioni di tipo socioassistenziale;
- il 14,8% i nuclei familiari, in cui almeno un componente ha dovuto rinunciare e/o rinviare una o più prestazioni di benessere.
Un altro dato emergente è quello dei cittadini italiani non autosufficienti che necessitano di assistenza: in Italia sono circa 3 milioni. Connessa a questo dato, si registra anche la presenza di 1,3 milioni di «badanti», con una spesa totale per le famiglie di circa 10 miliardi l’anno.
Un focus sulle famiglie con anziano non autosufficiente mette in luce come la soluzione chiavi in mano rappresentata dal ricorso alla badante convivente abbia finito per “mettere in secondo piano l’esigenza di un’assistenza di qualità, fatta di relazionalità umana (e su questo aspetto la stragrande maggioranza delle badanti ha saputo rispondere con notevole capacità) ma anche di spazi adeguati, opportunamente dotati, allestiti, di pacchetti integrati di prestazioni capaci di operare nella logica della valorizzazione delle potenzialità residue, non solo quindi garantire assistenza passiva ad una persona ormai priva di autonomia”
In questa organizzazione di mercato la residenzialità non ha mai svolto un ruolo ed è apparsa sempre come ultima spiaggia, non competitiva rispetto alla soluzione della domiciliarità.
La scelta di optare per un ricovero in una delle strutture esistenti pone di fronte ad ipotesi non certo complesse : o soluzioni di alta qualità associata ad altissimi costi difficili da fronteggiare , oppure deve soluzioni modello “parcheggi per vecchi”, secondo le logiche dei cronicari di una volta, aggiornati nella forma ma inalterati nella sostanza.
Le patologie: il nero, le frodi, gli sprechi
Nel contempo CENSIS documenta come “Nero, frode e sprechi” siano tre pilastri del welfare poco conosciuti ma componenti reali della protezione sociale concretamente vissuta nella loro esperienza:
un intervistato su tre (32,6%) ha dichiarato che nell’ultimo anno è capitato a lui direttamente o ad un membro della sua famiglia di pagare prestazioni sanitarie o di welfare al nero.
L’indagine offre uno spunti di riflessione per il dibattito che si è aperto sull’applicazione dei nuovi criteri per l’ISEE e sulle nuova disciplina per accertamenti diagnostici, consumo di farmaci e din genere negli sprechi per il welfare.
Alla domanda se sono a conoscenza di dichiarazioni ISEE non veritiere per accedere a prestazioni di welfare metà degli intervistati dice non sapere ma ben il 30% (ed il dato reale sarebbe superiore ove si tenesse conto dei reticenti ) considera che ci siano “furbetti” dell’ISEE a fronte di un 18% che nega l’esistenza di false dichiarazioni.
Ma importante, ai fini del dibattito sulle attuali nuove linee guide sulle prestazioni sanitarie e sulla riforma delle prestazioni sociali e della scuola, è il giudizio impietoso sull’esistenza di sprechi:
“i dati indicano l’esistenza di una convinzione diffusa, trasversale, relativamente all’esistenza di sprechi nel welfare italiano; dalla sanità all’assistenza alla scuola non c’è comparto che, nella visione degli italiani, non sia caratterizzato da una cattiva allocazione di risorse e un utilizzo inappropriato delle stesse”
- il 71,4% degli intervistati rileva che ci sono troppi sprechi ed eccessi nella sanità, con troppi accertamenti inutili, analisi, consumo di farmaci, ed il fenomeno è presente trasversalmente nelle quattro ripartizioni geografiche;
- il 71,3% rileva presenza di sprechi nell’assistenza sociale, con pensioni d’invalidità troppo generosamente concesse, operatori sociali di cui si potrebbe fare a meno, ecc.;
- il 54,2% riscontra sprechi nell’istruzione, con troppi bidelli e/o altro personale nella scuola, oppure presunto spreco di materiale didattico.
E’ evidente come, rispetto ad un passato recente era convinzione radicata in molti gruppi sociali di una sorta di diritto intoccabile ad avere prestazioni di welfare gratuite, senza forma alcuna di compartecipazione (in contrasto con il dettato costituzionale dell’art. 32 che assicura le cure gratuite non a tutti ma ai cittadini indigenti) con la crisi stia emergendo una percezione collettiva prevalente che il welfare ha un costo e che, compatibilmente con le possibilità, tutti devono concorrere a finanziarlo.
In un contesto nel quale viene segnalata la riduzione della qualità dei servizi (82,5%) c’è ampia convergenza sulla necessità che vadano colpiti i furbi (86,8%) e tagliati gli sprechi (57,8%) ma anche che bisogna smettere di vivere al di sopra dei propri mezzi 55,8%) , come ci eravamo illusi, e che le spese personali vanno riordinate secondo le priorità: il 70,6% degli italiani intervistati ha dichiarato che la gente si lamenta per pagare un ticket per una prestazione sanitaria e poi spende tanto per un telefonino, una affermazione che ottiene maggioranze consistenti in modo trasversale ai gruppi sociali e ai territori.
Il punto di vista degli italiani su alcuni fenomeni presenti nel welfare (%).
I dati che emergono dal Rapporto, infatti, indicano che il 53,6% degli italiani percepisce una riduzione significativa della copertura dello stato sociale, confermata dal corrispondente incremento (52,8%) delle spese sostenute di “ tasca propria», spese che un tempo venivano coperte dal sistema di welfare nazionale che per la maggioranza (55,6%) garantisce solo le prestazioni di base.
Le proposte in campo
E’ assolutamente condivisibile l’approccio dell’indagine CENSIS fuori da enucleazioni puramente di principio sul welfare ottimo puntando sul welfare concretamente possibile, in linea con scelte individuali e processi sociali reali.
Più soldi o più servizi? Il welfare italiano si caratterizza per la prevalenza di prestazioni monetarie rispetto a quelle in natura, fatte di strutture e servizi, con conseguente trasferimento sulle famiglie dell’onere della gestione dei percorsi assistenziali, dovendo farsi carico di individuare i servizi e/o i professionisti ai quali fare ricorso e gestendo di fatto i percorsi assistenziali: per tutti valga l’esempio
delle famiglie con non autosufficienti a carico chiamate a costruire il percorso assistenziale da sole e, nella migliore delle ipotesi, con l’aiuto dell’indennità di accompagnamento, un sussidio monetario di pura integrazione della spesa privata.
Per le persone fragili, che più hanno bisogno di supporto dalla rete di tutela, secondo il 38,5% degli italiani intervistati occorre assicurare maggiori servizi, strutture sul territorio alle quali rivolgersi e dalle quali avere aiuto, a fronte di un 20,7% che fa riferimento alla necessità di aumentare le risorse disponibili sotto forma di voucher da spendere, così da potere scegliere a quale servizio rivolgersi, inclusi i servizi privati esistenti. Infine un ulteriore 6% invece ritiene che sarebbe opportuno mettere i membri delle famiglie che possono dare aiuto nelle condizioni economiche di dedicare più tempo ai propri cari bisognosi ( specifico riferimento al tema della conciliazione famiglia-lavoro).
Chiusura dei piccoli ospedali e più assistenza territoriale? Gli esperti da tempo concordano sulla chiusura dei piccoli ospedali per rendere la sanità più efficiente e appropriata rispetto ai bisogni di una popolazione che invecchia e in cui cresce la cronicità e la relativa domanda sociosanitaria e socioassistenziale: in troppe di queste piccole strutture il numero di prestazioni è al di sotto dei parametri di sicurezza, oltre che di economicità.
A queste ipotesi si oppongono da sempre gli italiani come opinione pubblica e come cittadini di comunità minacciate della chiusura dell’ospedale locale di riferimento: la qualità della vita locale
poggia anche sulla prossimità di un’offerta sanitaria a tutto tondo, in cui non può mancare l’ospedale, che genera anche di occupazione ed ha un indotto significativo in termini di creazione di reddito.
A questi aspetti positivi si contrappongono sia l’alto costo economico di presidi ospedalieri ridotti, sia le tante criticità operative e sui livelli di sicurezza e sulla qualità delle prestazioni erogate.
L’indagine del CENSIS coglie un possibile mutamento di opinione da parte degli italiani.
E’ infatti d’accordo con questa proposta oltre il 55,3% degli intervistati, di cui in particolare:
- il 34,5% teme che i piccoli ospedali saranno chiusi senza creare le strutture territoriali promesse;
- il 20,8% che invece dichiara di essere a conoscenza di situazioni in cui già è stato fatto.
Del 44,7% che ancora esprime la contrarietà
- il 35,3% afferma che c’è ancora bisogno di piccoli ospedali nei territori, spesso marginali;
- il 9,4% sostiene che l’assistenza sul territorio la devono dare famiglie e persone al domicilio, niente strutture
Un fisco prowelfare?
Con le politiche fiscali occorre orientare le scelte delle famiglie nella scelta tra consumo e risparmio, nell’allocazione di risorse verso il risparmio, con effetti rilevanti sia sul sistema economico che quello delle tutele sociali.
A questo proposito, emerge che
- quasi il 61% degli italiani è molto o abbastanza favorevole all’introduzione di vantaggi fiscali per alcuni strumenti assicurativi come le polizze sanitarie, l’iscrizione a mutue sanitarie, le polizze Long term care o i piani accumulo formazione per i ragazzi;
- il 65,5% è poi molto o abbastanza d’accordo sulla possibilità di dedurre fiscalmente alcune spese per il welfare sostenute direttamente di tasca propria dalle famiglie (spesa per badante, baby sitter, per la formazione).
In particolare riceve un rilevante consenso (73,7%) la proposta sull’obbligatorietà della copertura sociale contro la non autosufficienza (anche se la metà sottolinea giustamente di prestare attenzione a coloro che non lavorano o non hanno reddito).