Dalla ricerca della Fondazione “F. Turati” la situazione della popolazione con più di 65 anni in Italia.
Oltre 12 milioni di persone, il 20% della popolazione italiana, ha un’età superiore ai 65 anni: la popolazione anziana nelle regioni del centro nord raggiunge il tetto del 26,9% della Liguria seguita dalla Toscana e dal Friuli Venezia Giulia con quasi il 24%. A sud la quota di ultrasessantacinquenni è più bassa, fino al minimo del 16,5% in Campania con Puglia e Sicilia sotto al 19%.
Le regioni più vecchie sono anche quelle con una maggior quota di anziani non autosufficienti (Liguria, Toscana, Friuli V. G., Piemonte): il loro numero passerà da 2,7 milioni del 2010 a 3,9 milioni nel 2030, cioè il 6,3% della popolazione totale over 65.
Non autosufficienti per mille anziani
La quota di anziani che continua a lavorare dopo i 65 anni è massima in Trentino Alto Adige (5,4%) e Valle d’Aosta (4,2%) mentre è estremamente ridotta nel sud, con Puglia Sicilia e Basilicata al di sotto del 2%.
Le pensioni costituiscono la fonte principale di reddito: la media degli assegni percepiti a livello nazionale è di poco meno di 750 €, le pensioni di vecchiaia arrivano a sfiorare i 1.000 € mentre gli altri tipi di pensione sono di importo minore.
Se si calcolano i valori medi delle pensioni a parità di potere di acquisto (sulla base degli indici di costo della vita misurati a livello regionale) la forbice, più elevata se si considerano i valori nominali, si restringe: sopra gli 830 € si collocano Piemonte. Liguria e Valle d’Aosta mentre chiudono la classifica nell’intorno dei 600 € Sicilia Calabria e Molise. In posizione intermedia si collocano Lazio (759 €), Puglia (708 €) e Toscana (706 €).
Importo medio mensile (€) della pensione a parità di potere d’acquisto PPP
I dati sulla spesa delle famiglie di anziani appaiono superiori alle pensioni percepite: il totale della spesa è di quasi 1.450 € per un anziano solo di 65 anni e più, di oltre 2.200 € per un coppia senza figli con capofamiglia ultrasessantacinquenne.
È evidente che non bastano le pensioni percepite se non intervengono redditi da altra fonte o integrazioni dai figli: in alternativa chi può continua a svolgere qualche lavoro.
È comprensibile allora come più del 50% degli anziani tra 65 e 74 anni (e per le donne la condizione è ancora più critica) ed oltre il 60% di quelli di età superiore ai 75 anni dichiarino di incontrare difficoltà ad arrivare alla fine del mese: nell’attuale crisi economica queste difficoltà sono destinate a crescere.
La quota di anziani che dichiarano un buon stato di salute diminuisce sensibilmente con il passare degli anni: se è il 44% tra i maschi di età compresa tra 65 e 74, cala al 27% tra i maschi oltre 75 anni.
Per le donne la salute costituisce un problema ancora più rilevante: la quota di chi dichiara una buona condizione scende nelle stesse classi di età dal 34% al 18,6%.
La domanda dei servizi da erogare agli anziani nei prossimi anni in Italia crescerà sostanzialmente in virtù dei seguenti fattori:
• la crescita della popolazione ultra ultra sessantacinquenne ed in particolare della popolazione ultra settantacinquenne, fascia d’età in cui si manifesta una maggiore richiesta di assistenza full time legata al maggior grado di non autosufficienza;
• il progressivo mutamento strutturale delle famiglie e delle altre reti di supporto che ridurrà il contributo della rete informale e renderà sempre più difficile la cura e l’assistenza degli anziani a domicilio portando ad con un conseguente incremento delle richieste di strutture residenziali
In Italia le politiche dirette alla popolazione anziana, soprattutto verso quella non-autosufficiente, vedono l’intreccio pubblico e privato e l’azione congiunta di diversi attori: famiglia, stato, privato, e terzo settore.
La famiglia (e principalmente le donne della famiglia) è il più importante – se non l’unico funzionante – attore per lo svolgimento delle funzioni di cura e assistenza: a fronte della riduzione della spesa pubblica, ne risulta esaltato un loro sempre maggior ruolo come welfare alternativo e sostitutivo rispetto allo Stato nell’assistenza agli anziani e costituisce ancora la principale rete di sostegno in tanti campi della vita individuale.
Le politiche di intervento pubblico si articolano in:
• servizi residenziali (presidi sociosanitari e presidi socio-assistenziali),
• servizi semiresidenziali (centri diurni integrati, CDI),
• servizi Domiciliari (assistenza domiciliare sociale – SAD e assistenza domiciliare integrata – ADI),
• trasferimenti monetari, soprattutto indennità di accompagnamento e assegni di cura.
L’indennità di accompagnamento è il più generalizzato intervento a sostegno della disabilità: la sua erogazione risulta massima nelle regioni meridionali (anche se è l’Umbria a guidare la classifica): una compensazione in termini monetari a fronte di servizi che mancano soprattutto a sud, ma anche un’integrazione di reddito in presenza di un modesto livello delle pensioni.
Attraverso procedure di normalizzazione sui tre indicatori (ore ADI per mille abitanti, utenti per 1.000 abitanti strutture sanitarie territoriali, posti letto per 1.000 abitanti strutture ospedaliere) è stato calcolato un indice sintetico di servizi di assistenza formale agli anziani.
Indice normalizzato assistenza formale agli anziani (Italia = 100)
Gli anziani trovano un miglior servizio in Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna seguite solo a distanza dal Veneto mentre la Toscana è l’ultima delle regioni del centro-nord seguita, a chiudere la classifica, dalle regioni meridionali.
Ovviamente come tutti gli indicatori di sintesi esprime esso solo una parte della realtà e come tale va preso.
Nel Rapporto sulla Non Autosufficienza del 2010 è stata realizzata un’analisi per cluster sui servizi offerti dalle regioni che include le diverse tipologie dell’assistenza offerta, cash o servizi.
Toscana Lazio e Puglia rientrano nel modello4 a media intensità assistenziale con orientamento cash for care, nel quale la diffusione di ADI e SAD sono di poco inferiori alla media nazionale, ma che può caratterizzarsi per un maggiore orientamento cash-for-care.
E’ recentissimamente uscito il Rapporto 2011 che in parte modifica la collocazione delle regioni nei diversi modelli: in questa stessa newsletter diamo conto del rapporto e delle novità intervenute.