Come le masse d’aria in movimento, tre movimenti in atto stanno caricando quella che potrebbe essere una tempesta perfetta che si abbatte sugli anziani.
- L’aumento della popolazione anziana Dal 2001 al 2011 la percentuale di popolazione di 65 anni e più è passata dal 18,7%, 10,6 milioni di persone (10.645.874 persone) al 20,8%, 12,4 milioni di persone: l’allungamento della vita fa si che aumenti anche i “grandi vecchi” Anche i “grandi vecchi”, ovvero gli ultra 85enni, incrementano il loro peso sul totale della popolazione, dal 2,2% del 2001 al 2,8% del 2011, per non dire dell’ aumento del 78,2% nella classe 95-99 anni e del 138,9% in quella degli ultracentenari. Basta pensare a cosa significa questi per i sistemi pensionistici e per la spesa sanitaria e per i servizi di assistenza
- L’aumento degli anziani soli
Le famiglie unipersonali sono quasi una su tre; rispetto al censimento del 2001 risultano in notevole aumento a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e dei mutamenti demografici e sociali: dal 2001 al 2011 sono passate da 5.4 milioni (24,9% delle famiglie) a 7,7 milioni (31,2% del totale): più di un quarto (3,5 milioni) di questi anziani abitano da soli.
- L’aumento dei costi dell’abitazione per gli anziani
Le famiglie che possiedono la casa in cui vivono sono il 72,1% (17.666.209), quelle in affitto il 18% mentre il restante 9,9% usufruisce dell’abitazione dove risiede a titolo gratuito o a titolo di prestazione di servizio. Secondo l’Agenzia delle Entrate il 78% delle famiglie è proprietario delle case in cui abita. Ogni unità immobiliare ha in media 2,87 vani, ma per quanto riguarda quelle abitate dagli anziani supera i 4 vani nel 60% dei casi.
In sostanza una parte consistente degli anziani abita da sola in case che, per la maggior parte, sono troppo grandi per loro, inadatte alle esigenze che l’età induce e che costano loro troppo.
Le caratteristiche generali degli alloggi abitati da persone ultrasessantacinquenni sono:
ü Vetustà degli immobili (il 55% degli immobili ha oltre quarant’anni) con necessità di ristrutturazioni, adeguamenti per adeguarlo alle nuove normative.
ü Presenza frequente di barriere architettoniche: gli incidenti in ambito domestico coinvolgono circa 1,7 milioni di persone per 130 mila persone si richiede il ricovero ospedaliero, mentre i casi mortali sono circa 7 mila: gli incidenti sono da caduta (40%) , da ferite da taglio o punta (15%), da urti, schiacciamenti (12%).
ü Dimensioni eccessive con conseguenti costi elevati per i consumi elevati
ü Fiscalità sugli immobili che risulta penalizzante
ü Crisi del mercato immobiliare che con le sue trasformazioni rende meno appetibile questo tipo di abitazioni, più difficili da piazzare ed a prezzi in calo: la ricchezza dell’anziano si assottiglia.
Se si considera che quasi la metà degli anziani (46%) percepisce una pensione inferiore ai 1000 euro al mese, è evidente che mantenere la casa diventa difficile e va a scapito delle loro condizioni di vita e della possibilità di spendere anche per i necessari servizi di assistenza: praticamente, dei semi-indigenti che abitano case da benestanti.
Va poi anche considerata la dimensione sociale: il problema principale è l’emarginazione. La partecipazione sociale dell’anziano, il suo coinvolgimento nella vita della comunità e nelle relazioni sociali sono elementi indispensabili per mantenere una buona qualità di vita: quando si invecchia.
Occorre individuare soluzioni che, nel momento in cui vanno a risolvere il problema, si collocano nel mainstream del recupero e valorizzazione dell’esistente, della rigenerazione urbana azzerando il consumo di nuovo territorio.
Due sono le opzioni:
ü downsizing per chi è in condizione di autosufficienza e vuol continuare a vivere nell’ambiente che gli è famigliare,
ü senior cohousing per chi avverte la necessitàdi disporre di servizi collettivi ed assistenzialio di vivere insieme ad altri (meglio se di generazioni diverse) per contrastare la solitudine.
Con il downsizing si adegua la dimensione delle abitazioni alle ridotte esigenze, eliminando barriere architettoniche, introducendo tecnologia domotica, migliorando l’efficienza energetica: per far fronte alla difficoltà economica a mantenere l’immobile, è possibile ottenere una fonte di reddito attraverso il subaffitto di una parte di esso se l’abitazione è già attrezzata o può esserlo beneficiando degli incentivi per il recupero e l’efficienza energetica. Dovrebbero essere poi consentita attraverso i piani casa la ristrutturazione e gli ampliamenti che permettano la creazione di due abitazioni indipendenti: la vendita o l’affitto offre risorse per finanziare l’intervento e per garantirsi l’assistenza necessaria.
Il cohousing va liberato dall’aura ideologica con cui lo si è avvolto: è una soluzione ad un problema che può essere articolato in forme e modalità diverse.
Può esserci la condivisione di un’abitazione da parte di anziani (senza gravi disabilità) con livelli essenziali di assistenza per la vita in comune.
Il secondo modello – più ambizioso – è la realizzazione di strutture residenziali (extra care housing) che offrono servizi collettivi e livelli di assistenza diversamente graduati: meglio se intergenerazionali, dove giovani coppie e anziani si mescolano, e se aperti al quartiere per i servizi che al suo interno si possono trovare, dall’assistenza medica alla biblioteca, dai negozi al centro sociale ed all’asilo nido.
E’ importante che questi progetti si collochino all’interno di un progetto urbano complesso ed equilibrato, come occasione di valorizzazione e recupero dei compendi architettonici abbandonati nei centri storici così come delle aree industriali dismesse.
La Fondazione ha studiato queste esperienze sia in Italia che in paesi avanzati d’Europa (Inghilterra, Olanda, Danimarca) e li offrirà alla riflessione dei diversi attori (istituzioni, imprese del terzo settore, costruttori, Fondazioni bancarie e fondi di investimento etici) per sollecitarne la realizzazione