La legge 219/17 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” innova le disposizioni di cura sanitaria in un senso che valorizza la vita di Relazione del paziente. Non può essere diversamente: “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona” (art. 1.1.). Notiamo: la dignità sta alla pari con gli altri valori ed è sinonimo di reciprocità e rispetto nelle relazioni. E lo ribadisce così: “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia” (art. 1.2.), e poi così: “il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” (art. 1.8.). Ne consegue: “la formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative” (art. 1.10.).
La centralità della Relazione è confermata al suo livello più alto (la Relazione con sé stessi) con l’invito al medico “nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte” ad “astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure”. Qui il medico “può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore” (art. 2.2.). La sedazione profonda la chiese anche il Cardinale Carlo Maria Martini. Perché nessuno deve morire disperato. La legge 219/17 sottolinea poi l’importanza del consenso informato del paziente e dei suoi cari, e introduce la possibilità di lasciare formali Disposizioni anticipate di trattamento. È un problema grande e delicato: non possiamo lasciarlo sulle spalle di figli e nipoti. La buona Relazione è dunque un valore in sé, ha un potenziale innovativo di terapia ed è la migliore cura palliativa, oltre che la condizione per prevenire depressioni, malattie e dipendenza. È poi condizione di Comunicazione, che non si realizza mai senza una buona Relazione. Ora, l’80 o 90% degli anziani arriva nei Ricoveri con forme di demenza senile, assai spesso per scarsa cura delle Relazioni negli ambienti di vita. Il 50% degli anziani dichiara di non avere amici e il 30% di non poter contare su nessuno (26° Rapporto Istat). La demenza si aggrava nel Ricovero per la stessa causa, contrastata solo dalla informale iniziativa, dal carattere e dal buon cuore del personale (sempre necessari). La non messa a tema, la non sistematicità della cura delle Relazioni è culturale: diamo importanza – a partire, pare, da Aristotele – alle cose e alle persone (in sé, separate) e trascuriamo l’aspetto vitale, relazionale. Ma l’uomo intero – dice l’Europa – è sia individualità che socialità. Le strutture di cura finiscono per occuparsi delle sole 3 evidenze: salute, cibo, pulizia. Le attività di animazione sono, esse stesse, separate e limitate nel tempo e ai soggetti in salute mentale. Ma la demenza è malattia del cervello Pensante (ha 20 mila anni), che lascia attivissimi i Cervelli Emotivo (200 milioni di anni) e Rettiliano (400 milioni di anni).
Come si può curare la Relazione nei Ricoveri? Formando una risorsa (scelta tra i competenti in struttura?) e attribuendole ruolo nei luoghi e momenti di servizio all’anziano, per renderli più belli ed efficaci. E lui più compreso. La funzione avrà cura del clima, del dialogo, dell’ascolto, dello svago e della motivazione all’impegno tanto dell’anziano quanto del personale interessato. È un coach (un formatore) ed è immaginabile che organizzi e animi l’apporto di un bel gruppo di volontari. Qui siamo al cuore dell’invecchiamento attivo. Ho visto Medici, Infermieri e Oss meravigliosi, pronti al ruolo. Ormai è chiaro: la cura delle Relazioni si paga. Produrrà efficacia ed efficienza e un bel clima. Avrà effetti positivi sull’umore, la gioia e la salute dell’anziano. Lo aiuterà ad accettare l’inevitabile. È un’azione di umanità e giustizia che alleggerisce i lavori più delicati. Uno sforzo (ben comunicato) in questa direzione verrà molto apprezzato dagli anziani e anche dai parenti (oggi preoccupati e catturati da sensi di colpa: vedono i loro cari scivolare verso una fine disperata). È un’innovazione che si presta a essere finanziata dagli interessati, dalla Regione e dagli Assicuratori, disponibili a investire su polizze e infrastrutture per le cure di lungo termine (LTC), come prevede la direttiva europea Solvency II. Ed è un buon consiglio: anticipa interventi della Magistratura, che ritengo maturi e vicini.Si può trarre spunto dall’esperienza dei “Clown dottori” o fare riferimento alla saggezza mistica,spirituale di tante tradizioni religiose. Le migliori pratiche? Sono specifiche e nascono sul campo.
Scheda sui Clown Dottori e sulla Gelotologia.
E un ricordo di Arturo Paoli, mistico I Clown Dottori sono professionisti appositamente formati, che operano prevalentemente in contesti ospedalieri, il cui obiettivo è innescare la scintilla del cambiamento usando dei potentissimi strumenti:le emozioni positive, prima fra tutte la RISATA, per attivare processi fisiologici che contribuiscono a dare forza alla parte sana della persona, favorendo il processo di cura. Attraverso questo approccio positivo, il Clown Dottore si rivela uno strumento di incisione sulla realtà, favorisce il rafforzamento dei legami nella comunità di appartenenza, incoraggia l’umanizzazione della struttura ospedaliera creando dei momenti di scambio leggeri e positivi tra i vari attori (medici, infermieri, degenti, familiari), sdrammatizza la figura del medico e rende meno invasive le pratiche cliniche più dolorose.Il lavoro del Clown Dottore è quello di instaurare con il bimbo e con la sua famiglia, con l’adulto o con l’anziano, un rapporto di fiducia, un contatto significativo, un ascolto attivo che accolga l’emozione presente in quel momento – sovente un’emozione negativa, come tristezza, paura, rabbia – lasciando che si esprima e possa diventare altro – gioia, speranza, serenità.Nei progetti sociali dedicati agli adulti vengono studiati interventi ad hoc, spesso mirati a restituire una visione di sé forte, capace di affrontare un momento di vita difficile. In ospedale si segue un vero e proprio giro visite,stanza per stanza, bambino per bambino, perché ogni bimbo ha necessità diverse, è in un suo particolare momento del percorso di degenza, ogni famiglia che lo accudisce vive l’esperienza in modo unico e singolare.
Gelotologia. La Federazione internazionale Ridere per Vivere è pioniera in Italia nello studio e nell’applicazione dei principi della Gelotologia, la disciplina che si occupa del fenomeno del ridere, con particolare riguardo alle potenzialità terapeutiche di esso. La Gelotologia (più comunemente nota come Comicoterapia) è la disciplina che studia la relazione tra il fenomeno del ridere e la salute. Questa modalità di prevenzione e terapia, che negli USA trova la massima espressione (ma che è in rapido sviluppo anche in Europa e nel resto del mondo) prende le mosse dai più recenti studi di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (PNEI) e tende a ricercare, sperimentare e applicare modalità relazionali che, coinvolgendo positivamente l’emotivo della persona, attraverso complessi meccanismi neuro-endocrini, ne migliorino l’equilibrio immunitario da un lato, e le abilità psico-relazionali dall’altro. Parlano i Clown Dottori. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un sempre maggiore numero di pubblicazioni che confermano la terapeuticità delle emozioni positive. Noi stessi in più di un’occasione siamo stati “oggetto di studio” da parte di ricercatori delle università romane, che hanno voluto studiare quali fossero gli effetti dell’incontro tra i Clown Dottori e i piccoli pazienti ricoverati in ospedale. Noi intuivamo già quali magie potessero nascere da questo incontro, ma in queste ricerche,che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali, si tocca con mano quanto le emozioni positive possano essere forti elementi di cura: dopo la visita del Clown Dottore si abbassa la temperatura, si regolarizza la pressione, aumenta la soglia del dolore, si assumono meno farmaci pre e post operatori, ci si muove di più, si mangia di più, addirittura diminuiscono i giorni di degenza.
Ricordo di Arturo Paoli, “Piccolo fratello di Gesù”, mistico, innamorato degli ultimi, partigiano e teologo della Liberazione, Medaglia d’oro al merito civile (consegnatagli da Ciampi nel 2006 perché salvò circa 800 ebrei durante la seconda guerra mondiale), dichiarato dai sopravvissuti alla Shoah «Giusto tra le Nazioni», morto nel 2015 a 102 anni: Amava “il deserto con le sue albe, le sue bellezze” Ha detto: “L’uomo non è abituato a stare con se stesso, a riempire il silenzio con la meditazione, la preghiera, la riflessione” E sulla quarta età: “Non si chiede più nulla se non di ascoltare, di essere, di fare compagnia”
Francesco Bizzotto (lavocemetropolitana.it)