Si intitolava così il primo libro che raccoglieva scritti e discorsi dell’allora vicesegretario nazionale del PSDI, Antonio Cariglia. Erano gli anni ’60. Cariglia era giovane ma già aveva conquistato una posizione di rilevo nel panorama politico nazionale: era stato a 27 anni uno dei segretari nazionali della UIL, deputato eletto nella circoscrizione Firenze-Pistoia a 39 anni, nel 1963 e, appena entrato in Parlamento, presidente della prestigiosa Commissione Esteri della Camera.
Le quattro parole che compongono il titolo del libro sono la sintesi perfetta della personalità di Cariglia, del suo pensiero e dei suoi comportamenti.
Chiarezza ne aveva da vendere: i suoi discorsi erano diretti ed incisivi, lontani anni luce dall’ambiguo politichese e dalle cortine fumogene che all’epoca (ma anche oggi) nascondevano il vuoto di idee. Tanto chiaro, da fare infuriare gli avversari, soprattutto il vecchio PCI refrattario ad accettare l’idea che il socialismo o è democratico o non è socialismo.
Veniva attaccato spesso con veemenza feroce, soprattutto perché era uno dei pochi a ripetere che l’Italia doveva mantenere i suoi legami con il mondo occidentale. Lo chiamavano “l’atlantico di ferro” quando i comunisti avevano il cuore e la mente tutti rivolti ad est, i socialisti muovevano i primi passi verso l’Internazionale socialista ed i democristiani perseguivano una politica estera talvolta ambigua o appena sussurrata.
Polemiche ed attacchi non lo spaventavano e non lo facevano arretrare di un millimetro: e questo mandava in bestia gli avversari. Ma lui non rinunciò mai alla seconda parola del titolo di quel profetico libro: coerenza.
Un rigore ed una volontà di ferro che apparivano sorprendenti in un uomo il cui tratto distintivo erano sobrietà, signorilità, pacatezza.
All’epoca in cui scalava i primi gradini della sua prestigiosa carriera, Cariglia aveva una marcia in più rispetto alla maggior parte degli uomini politici italiani: le frequentazioni internazionali.
Per decenni è stato l’unico rappresentante italiano nel Bureau dell’Internazionale Socialista dove introdurrà al cospetto dei maggiori leaders europei prima Pietro Nenni ( in seguito all’Unificazione socialista: 1966-69 ) e, molti anni dopo, Achille Occhetto.
Legato da un rapporto filiale con il fondatore della socialdemocrazia italiana, Giuseppe Saragat, frequentava uomini come Brandt, Wilson, Kreisky, e volava alto. Anticipava temi che sarebbero poi diventati consueti nel dibattito politico: la riforma dello Stato, l’efficienza del potere e della pubblica amministrazione senza, però, che venisse messo in discussione l’equilibrio dei poteri. Come presidente della Commissione interni della Camera promosse fin dai primi anni ’70 una indagine conoscitiva sulla situazione della stampa in Italia: sarebbe ancora utile fare tesoro delle conclusioni e delle proposte cui quella commissione addivenne.
Non cedeva mai al gusto della polemica spicciola o al risentimento: perché in lui prevaleva sempre il senso dello Stato. Anche quando venne ingiustamente inquisito ai tempi dell’ondata giustizialista e dovette aspettare 12 anni per vedersi completamente prosciolto, rinunciando alla prescrizione perché la sua onestà fosse riconosciuta senza lasciare dubbi.
Perseguì con tenacia il riconoscimento delle sue ragioni: nonostante che fosse evidente il procedere a senso unico delle inchieste, non abbandonò nemmeno per un attimo il campo naturale della sua militanza politica: a sinistra, fedele alla sua visione socialista e democratica.
In politica, se si persegue il bene comune, occorre riconoscere che le sconfitte sono sempre più numerose delle vittorie, perché difficilmente si ottiene quanto si vorrebbe. Ma nella sua azione tutta tesa ad alleviare le condizioni dei deboli, Cariglia può vantare risultati ottenuti con il suo operare concreto. I centri socio-sanitari realizzati e gestiti dalla Fondazione Turati di cui è stato ininterrottamente presidente dal 1965 ad oggi hanno consentito la cura di anziani, portatori di handicap, persone bisognose di riabilitazione; e nella sua città, Pistoia, centinaia e centinaia di famiglie devono la casa alla sua attività di presidente dell’Istituto autonomo della case popolari.
Ora che è scomparso, a 86 anni, dopo settanta di attività politica, iniziata sui banchi di scuola combattendo il fascismo ancora in sella e non traballante, proseguita con la lotta partigiana, l’attività sindacale, ed il perseguimento degli ideali socialdemocratici fino ai più alti livelli nazionali e internazionali, fa piacere constatare che molti riconoscimenti gli sono stati tributati lealmente anche dagli avversari di ieri. Alcuni hanno riconosciuto la validità delle posizioni che in passato contrastavano. Altri hanno semplicemente tributato un riconoscimento alla persona e ad una stagione nella quale Politica, quali che fossero le idee, si scriveva con la P maiuscola.
Sembra trascorsa una infinità di tempo. Ed è appena ieri.
(articolo pubblicato su www.pensalibero.it del 22.02.2010)
Un profilo di Antonio Cariglia è disponibile sul nostro sito alla pagina https://fondazioneturati.it/chi-siamo/antonio-cariglia/