Molte risorse per gli anziani, poche per i giovani. Un parlamento con un’età media alta fra le cause della situazione attuale.
“Ormai da decenni, in Italia, lo squilibrio tra le risorse devolute agli anziani e quanto destinato ai giovani è palese”: questa affermazione di Tito Boeri qualche tempo fa su La Voce confermava gli esiti di ricerche che quantificano le risorse pro capite destinate a giovani ed anziani.
Nel confronto internazionale con Danimarca, Francia, Germania e la media dell’Unione europea, l’Italia si caratterizza per maggiori e sensibilmente risorse destinate agli anziani mentre quelle destinate ai giovani sono di gran lunga inferiori e praticamente ferme, a fronte di maggiori e crescenti risorse investite dagli altri paesi che evidentemente scommettono sul futuro.
Il rischio è quello di una guerra fra generazioni, di un conflitto intergenerazionale che trova la sua origine anche negli epocali mutamenti demografici: nel mondo è in corso il sorpasso degli over 65 sugli under 5 ma entro il 2050 gli anziani supereranno anche gli under 15. I “grandi anziani” (gli 80enni e più) sono poi destinati quasi a triplicare entro lo stesso orizzonte temporale, arrivando a circa 400 milioni. Gli over 60 saliranno invece a 2 miliardi. Questa della popolazione anziana avrà profonde implicazioni sulla società, sulla crescita economica, sulle famiglie, sui rapporti tra generazioni ponendo il problema di quale lo spazio avranno i giovani in un mondo sempre più dominato dalla popolazione matura.
“Chi è entrato nella vita adulta a partire dalla metà degli anni Novanta ha ereditato il macigno di un debito pubblico che non ha contribuito né direttamente né indirettamente a costituire e del quale non ha beneficiato in alcun modo. Si trova invece a doverne pagare pesantemente i costi. Si tratta di una condizione fortemente iniqua, visto che tale debito non è stato formato per potenziare le prospettive delle nuove generazioni e di crescita del Paese”( L’ITALIA DELLE NUOVE GENERAZIONI La sfida del degiovanimento Alessandro Rosina Paolo Balduzzi, 2008)
Il nuovo conflitto generazionale investe la differenza di condizioni economico-sociali tra tanti
genitori cresciuti nell’ età del benessere, e dunque del welfare generoso che non ci possiamo più permettere, e le nuove generazioni, per la prima volta da molto tempo, debbono attendersi un futuro peggiore della generazione che le ha precedute e che si è potuto realizzare attraverso un gigantesco debito pubblico messo in conto alle nuove generazioni,.
Il primo campo e più evidente campo dove emerge con chiarezza il conflitto è nei sistemi di welfare, fondati dal secondo dopoguerra su sistemi a ripartizione che funzionano bene solo con una demografia e una crescita economica positiva.
Con la la globalizzazione che ha redistribuito le risorse tra le aree del pianeta sono emerse le difficoltà strutturali dei paesi avanzata, dalla rigidità del mercato del lavoro al peso della finanza con la conseguente esplosione di crisi economiche e con la riduzione marcata del tasso di crescita potenziale.
Gli sviluppi demografici (caduta pesante del tasso di natalità, incremento della longevità) longevità con effetti drammatici sui vincoli di bilancio. un numero inferiore di persone attive dovrà finanziare il welfare di un numero crescente di «inattivi» per molti più anni.
Oggi i giovani sono chiamati a pagare con i contributi pensioni molto diverse da quelle a cui un giorno (forse) avranno diritto: in queste condizioni sarà difficile convincere gli attivi a sottomettersi a questo tipo di prelievo: la polemica sulle pensioni d’oro in Italia è il chiaro sintomo di un ripudio generazionale che sta prendendo forma, del fatto che pensioni «acquisite» secondo leggi vigenti verranno presto o tardi rimesse in discussione.
Servirebbero riforme ma le riforme sono decise dai parlamenti eletti da una popolazione sempre più vecchia con conseguente aumento dell’età dell’elettore “mediano” e quindi suo voto si guarda più agli obiettivi degli anziani che a quelli delle giovani generazioni: Chi è anziano preferisce la stabilità al rischio e diffida di riforme che mettano in discussione quelli che ritiene , a ragione o a torto, “diritti quesiti” nella sua vita lavorativa: di fatto potrà impedire riforme che ridistribuiscano in modo più equo il costo tra le diverse generazioni”
“Quello tra genitori garantiti e figli precari è però un conflitto che per molte ragioni resta inesprimibile. È nascosto proprio dal fatto che molti giovani riescono oggi a sopportare il peso di un’ esistenza precaria (basso reddito, insicurezza del posto di lavoro, impossibilità di ottenere un mutuo, ecc.) grazie ai privilegi grandi e piccoli dei loro genitori (posto fisso, pensioni più
generose, secondi lavori di chi si è ritirato ben prima dei sessant’ anni, pensioni di invalidità più o meno regolari). È probabilmente proprio questo fatto che nasconde come in realtà siano stati e siano tanti genitori a sfruttare, involontariamente ma sostanzialmente, i loro figli. Come spesso siano proprio loro, verrebbe da dire col linguaggio dell’ altro secolo, i nuovi
«padroni». Giovanni Belardelli Corriere della Sera 3 gennaio 2011